A livello gastronomico Santa Margherita deve la sua nomea al gambero rosso, pescato dalla flotta locale a partire dagli anni ‘20. Ancora oggi questa attività prosegue grazie a un piccolo numero di imbarcazioni che praticano una pesca sostenibile, riconosciuta e sostenuta dal marchio “De.co” (Denominazione Comunale). Poiché si tratta di una tradizione piuttosto recente, è però alla terra che bisogna rivolgersi per apprezzare una visione ampia della cucina locale, in linea con la cultura ligure e la sua inclinazione allo street food: il “pezzo” di focaccia o il “cartoccio” di farinata (di farina di ceci), bianca o con le cipolle, sono le vette apicali del costume culinario sammargheritese.
Torte di verdura (a partire dalla celebre Pasqualina: bietole, quagliata, maggiorana o origano, parmigiano e uova racchiusa in un numero variabile di sfoglie), frisceu (frittelle di erba cipollina e salvia) e focaccette al formaggio stracchino, verdure ripiene (zucchini, melanzane, cipolle, peperoni…), polpettoni di patate e fagiolini, ravioli di borragine (e di prebuggiun, vasta gamma di erbe selvatiche) e pansoti alla salsa di noce rigorosamente di “magro”, senza tralasciare Sua Maestà il pesto genovese, sono poi altre leccornie in cui è facile imbattersi girovagando per forni, gastronomie e trattorie, senza dimenticare il tuccu di funghi, gustosa variante vegetariana del più classico sugo di carne alla genovese che mantiene vivo il legame fra la costa e l’entroterra.
Rispetto ad altre cucine regionali, quella ligure può vantare leggerezza, equilibrio nutrizionale e sostenibilità ambientale, dovendo molto alla nota parsimonia con cui anticamente si ricorreva a carne e derivati di origine animale in un territorio povero di pascoli e grandi spazi per praticare l’allevamento. Una cucina “povera”, si potrebbe dire, pensando ad alcune icone culinarie come i ceci in zimino o l’intramontabile minestrone, rigorosamente ligusticizzato dall’aggiunta di pesto. Povera di grassi, forse, ma ricca, ricchissima, di sapori e tradizione.